http://puntocontinenti.it/wp-content/uploads/2021/08/2INCOM-Giappone-.jpg

Foto: Nei riquadri Tadashi Okanouchi e alcune sue pubblicazioni. Sullo sfondo Tokyo. 

 

In questa intervista esclusiva per Punto Continenti realizzata dalla coppia brasiliana Bruna Augusto e Marcus Brancaglione (che vicino alla città di San Paolo del Brasile stanno portando aventi un esperimento di Reddito di Base seguito a livello internazionale), il prof. giapponese Tadashi Okanouchi si sofferma sulla sua proposta di creare un azionariato popolare mondiale collegato agli enormi utili delle multinazionali e in grado di garantire una vita dignitosa a tutti gli esseri umani. Il Movimento Tutela Sociale (Movimento d’opinione internazionale nato in Italia ma con diversi collegamenti all’estero) accoglie con grande interesse l’idea di Okanouchi, tanto più che proviene da uno dei Paesi più ricchi del mondo ma con un debito pubblico allarmante. Riuscire a far convergere le diverse esperienze nazionali rappresenta sicuramente la strada migliore per consentire all’umanità di compiere un importante salto di qualità. (Rainero Schembri, Coordinatore del MTS).  

 

Tadashi Okanouchi è professore di sociologia alla Hosei Università di Tokyo. Dopo aver studiato l’arabo si è concentrato sulla politica internazionale e sull’economia nell’ambito di un istituto universitario di specializzazione.  Da quel momento il professor Okanouchi ha compiuto diverse ricerche e pubblicato numerosi libri e articoli riguardanti il Medio Oriente, con una particolare attenzione, durante gli anni ’80 e ’90, alla questione palestinese. A partire dall’anno 2000, la sua attenzione si è rivolta prevalentemente alle ingiustizie storiche, cioè, a tutti i processi di colonizzazione avvenuti nel corso della storia e al modo di porvi rimedio. In questa cornice Okanouchi ha svolto approfondite ricerche sul processo di decolonizzazione, sia dell’impero britannico che di quello portoghese. Sono stati, ad esempio, esaminati i destini dei popoli indigeni Maori e i problemi vissuti dagli Aotearoa della Nuova Zelanda. Queste ricerche hanno coinvolto studenti delle  Università di Sheffield, Oporto e Auckland. Nel 2009 il professore Okanouchi diventa un sostenitore del reddito di base globale come mezzo indispensabile per porre rimedio a tutte le ingiustizie storiche dell’umanità. Da quel momento pubblica molti articoli e libri e visita, insieme a diversi studenti, località dove già vengono effettuati i primi tentativi di introdurre un Reddito di base: ad esempio,  in Namibia, Brasile,  India, Alaska, Iran, Mongolia ecc. Ma ecco cosa il prof. Okanouchi ha dichiarato a Punto Continenti.

 

L’accettazione del reddito di base è cresciuta molto dall’inizio del COVID-19. Come si presenta  la situazione in Giappone?

L’idea del reddito di base è iniziata a diventare molto popolare in Giappone circa dieci anni fa. Finora i media giapponesi hanno riportato notizie sui movimenti del Reddito di base in Svizzera, Finlandia, Spagna, ecc. I politici giapponesi di stampo “populista” hanno creato alcuni nuovi partiti politici di “sinistra” e di “destra” e hanno sostenuto l’introduzione del Reddito di base in Giappone nelle loro campagne elettorali. Tuttavia, i più autorevoli intellettuali, sia di sinistra che di destra si sono accordati sui mass media per respingere l’idea del reddito di base, considerandola irrealistica per il Giappone, con la motivazione che la finanza pubblica si trova in una grave crisi debitoria. Secondo loro, inoltre, la concessione di un’assistenza  incondizionata potrebbe determinare la degradazione dell’etica tradizionale per il lavoro e del carattere operoso del popolo giapponese. Secondo questi intellettuali, la vera battaglia rimane quella convenzionale e, cioè, capire se in Giappone deve prevalere lo “Stato neoliberista” o lo “Stato sociale”. Queste argomentazioni durante il Covis-19 hanno rappresentato un autentico vaccino contro l’idea del Reddito di base.  Va detto, che di fronte alla grave crisi determinata dalla pandemia,  il governo giapponese è stato costretto ad erogare un contributo una tantum universale e incondizionato di circa 1.000 $ USA a persona. Ma non ci sono stati forti movimenti che hanno chiesto l’introduzione del Reddito di base, neanche di un reddito limitato al periodo della crisi del COVID-19 (come auspicato nell’estate del 2020 dall’UNDP, il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite).

 

Qual è, comunque, l’attuale situazione economica del Giappone?

Il Paese vive una doppia economia: da un lato ci sono le grandi imprese; dall’altro le medie e le piccole. Nell’ambito di queste ultime, sia la classe imprenditoriale che quella operaia hanno sofferto molto con l’arrivo del COVID-19, che ha determinato numerosi fallimenti e un’ampia  disoccupazione. Molto diversa è stata la situazione vissuta dalle grandi aziende. Tutti i pesanti fardelli del disastro economico sono ricaduti sulle spalle dei cittadini e delle piccole imprese. Il governo non ha aiutato universalmente ma selettivamente e a particolari condizioni. Nella sostanza, il comune cittadino è stato costretto a confrontarsi con una valanga di condizionamenti burocratici. Non a caso, molti piccoli negozianti, proprietari di ristoranti, bar, ecc., non sono stati in grado di resistere. Purtroppo, la maggioranza dei cittadini non ha alcuna capacità di incidere sui mass media.

 

Quali sono le prospettive future per il reddito di base in Giappone?

La nostra sfida più grande è superare a livello pubblico il falso confronto ideologico tra lo Stato neoliberista, sostenuto dai vecchi intellettuali di destra, e lo Stato sociale sostenuto dai vecchi intellettuali di sinistra. Un influente economista di destra che aveva costantemente contrastato il welfare in Giappone nella veste di Ministro delle finanze del defunto governo Abe ora sta sostenendo l’introduzione del reddito di base di circa 700 $ USA al mese a persona: una cifra appena al di sotto della soglia di povertà nazionale. La risposta degli intellettuali di sinistra è stata: “Niente reddito di base miserevole, ma servizi sociali di base! Fate del Giappone uno Stato sociale scandinavo!” Purtroppo, è noto il grave problema del debito pubblico giapponese, a causa anche di un’economia mondiale stagnante. Ciò ha trasformato questo slogan di sinistra nella solita e superata “vecchia favola”. Sostanzialmente nessuno prende sul serio l’invito a percorrere la strada verso lo Stato sociale, né tanto meno la strada verso il Reddito di cittadinanza, anche se tutti sono stanchi della strada neoliberista.La fattibilità finanziaria rappresenta, quindi, la vera sfida dei sostenitori del Basic Income. Ma la fattibilità finanziaria dipende dal potere sociale in grado di raccogliere costantemente le risorse finanziarie necessarie per alimentare il Reddito di base.

 

Il comparto delle grandi aziende ha dominato l’economia giapponese, e i capitalisti hanno  controllato il sistema Stato-nazione attraverso il sistema politico, utilizzando il principale partito di destra, ovvero il Partito Liberal Democratico (LDP), dagli anni Cinquanta fino ad oggi. A questo punto la classe capitalista delle grandi aziende avrebbe potuto assumere il potere egemonico nella società giapponese. Se ciò non è avvenuto è perché quasi tutte le grandi aziende sono diventate negli anni ’90 società transnazionali e ora fanno parte del gruppo di multinazionali operanti nel mondo. Quindi, le grandi aziende in Giappone sono diventate solo una componente della globalizzazione delle imprese.  Come è noto, i grandi capitalisti e le imprese globalizzate generalmente non versano molte tasse agli Stati Nazione, perché la ricerca dell’esenzione fiscale attraverso i paradisi fiscali è una delle motivazioni fondamentali per la nascita e la crescita delle multinazionali. Pertanto, le entrate fiscali degli Stati-nazione sono diminuite nonostante la rapida crescita economica delle aziende globalizzate.

 

Il potere sociale di raccogliere costantemente denaro attraverso la tassazione delle imprese globalizzate è estremamente debole. E questo perché  il potere sociale è diviso e ingabbiato dal sistema dello Stato nazionale. In altri termini, i capitalisti ricorrono alla politica del Divide et impera  tra le imprese operanti all’interno dei confini degli Stati-Nazione, e tra le varie divisioni esistenti nell’ambito delle classi economiche, dei generi e delle etnie. Nel caso del Giappone, la struttura della doppia economia, la forte cultura del patriarcato e l’eredità dell’ideologia razzista imperiale rendono la struttura sociale molto complessa.  Nel sostenere il falso confronto ideologico tra lo Stato neoliberista e lo Stato sociale,  la classe capitalista dominante in Giappone (cioè, una frazione degli azionisti di maggioranza delle grandi imprese globalizzate) sta gestendo con successo l’opinione pubblica giapponese a tutto vantaggio della classe dirigente e a danno della maggioranza dei cittadini. Appare, quindi, fondamentale imprimere una svolta a questo stallo ideologico. Altrimenti, non ci sarà alcun futuro per l’idea di introdurre un Reddito di base in Giappone.

 

Lei ha appena pubblicato un libro sulle Prospettive del Reddito di base (Perspectives of the Global Basic Income Scheme: Dialogue with Critical Development Studies and SDGs). Ci potrebbe dire qualcosa in merito?

La mia intenzione era quella di ipotizzare una svolta al concetto di Reddito di base. Nel mio libro ho citato le argomentazioni sullo sviluppo critico sostenute da alcuni autori: ad esempio David Korten, Jeffrey Sachs, Wolfgang Sachs, Susan George, Antonio Negri, nonché gli studiosi della cosiddetta Global Capitalism School in International Political Economy. Questi studiosi ritengono che le grandi imprese globalizzate siano la causa principale della crisi globale dell’umanità e dell’ecologia. Inoltre, ho analizzato il testo della Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 2015 che ha elaborato l’Agenda 2030 con 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs, Sustainable Development Goals). Secondo me l’Agenda può essere letta come una dichiarazione di Guerra non violenta in Difesa della Terra, nonché come  un manifesto di Umanesimo ecologico, che è stata l’idea centrale degli studi sullo sviluppo critico. Sebbene questi studi non abbiano definito un’idea esplicita in merito al Reddito di base globale, la loro portata e il loro sguardo critico verso il potere imprenditoriale globale sono preziosi. Pertanto, la mia intenzione era quella di scrivere una critica agli studi sullo sviluppo critico e agli SDGs. A mio parere, il sistema del Reddito di base non può svilupparsi all’interno di un singolo Paese.

 

Dobbiamo assolutamente confrontarci con il capitale delle grandi società transnazionali, che sono strettamente collegate tra loro da partecipazioni reciproche e con dirigenze interconnesse e al servizio di un gruppo di società globalizzate. Pur perseguendo uno schema di Reddito di base a livello nazionale, abbiamo bisogno di uno schema globale che si basi finanziariamente su un fondo di capitale globale, una holding che potrebbe chiamarsi Patrimonio dell’Umanità. Questa Holding dovrebbe detenere e gestire a maggioranza tutte le multinazionali della Terra. Il capitale azionario delle partecipazioni al Patrimonio dell’Umanità dovrebbe essere assegnato come eredità e proprietà comune a tutti gli esseri umani.   Quindi, il dividendo del capitale sociale diventerebbe un reddito su base globale. A ciascuna persona verrebbe assegnata un’azione che non potrebbe essere negoziabile ma sarebbe valida per tutta la vita. Inoltre, ogni persona avrebbe il diritto di voto nell’Assemblea Generale degli azionisti (che dovrebbe essere organizzata attraverso una gigantesca riunione on line).

 

Tale sistema di democrazia diretta degli azionisti rafforzerebbe sicuramente il movimento basilare di regolamentazione delle società transnazionali attraverso i Principi di investimento socialmente responsabili delle Nazioni Unite, gli investimenti sostenibili, ecc. Ho suggerito, inoltre, che il sistema globale del Basic Income venga sostenuto da un forte Movimento sociale a livello globale, quale secondo movimento mondiale di decolonizzazione promosso dalla consapevolezza di intraprendere una giustizia riparatrice. In altri termini, si tratta di avviare un risarcimento per l’ingiustizia storica e per il saccheggio mondiale dei beni comuni compiuto dagli antenati dell’attuale classe capitalista,  attualmente rappresentata dal gruppo dominante delle società globalizzate. In pratica, occorre indennizzare le vittime del processo storico di accumulazione primitiva che sta alla base del moderno sistema capitalista mondiale.

 

Gli SDGs, mediante il principio Nessuno deve rimanere indietro, rappresentano potenzialmente un cavallo di Troia, dato che gli sforzi delle ONG per i diritti umani e ambientali sono supportate dalle aziende globalizzate che  beneficiano della gestione degli SDGs a loro vantaggio. Il Rapporto ufficiale delle Nazioni Unite del 2019, pubblicato poco prima del Covid 19, prevedeva il fallimento degli SDGs, se non fosse cambiato il sistema di fare affari, il cosiddetto business as usual. Di fronte alla pandemia, il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha dichiarato che siamo in piena crisi dell’umanità. Il Global Basic Income Scheme è, a mio avviso, il modo più adatto per soddisfare il principio del Nessuno deve rimanere indietro, soprattutto per quanto riguarda l’eliminazione della Povertà e della Fame. Penso che potrebbe rappresentare un passo decisivo nella trasformazione dell’aspirante cavallo di Troia in una vittoria reale per l’umanità. In conclusione, mi fa piacere informare che sto lavorando su un altro libro incentrato proprio sulla necessità e sulle strategie da impiegare per creare un capitale azionario di maggioranza riguardante tutte le multinazionali, utile come risorsa finanziaria per il Reddito di base da assegnare a tutti gli esseri umani. I diritti di proprietà delle grandi società transnazionali non hanno bisogno di giustificazione: sono il giusto rimborso a tutti i cittadini finalizzato alla creazione del Patrimonio dell’Umanità.

x x x x x x

Videoclip del Movimento Tutela Sociale