(Foto: Fernando Ayala sullo sfondo della capitale Santiago del Cile)
 
Fernando Ayala conosce molto bene l'Italia: oltre ad essere stato Ambasciatore a Roma dal 2014 al 2018, ha ricoperto anche incarichi di Stato come Ambasciatore presso la FAO, l’IFAD e il WFP. Laureato in Economia all'Università di Zagabria in Croazia, ha un master in scienze politiche presso l'Università Cattolica del Cile. Ayala si è ritirato dalla carriera diplomatica nel 2018, dopo 36 anni di servizio in numerosi paesi, tra cui Ecuador, Corea del Sud, Svezia, Stati Uniti. È stato ambasciatore in Vietnam, Portogallo, Trinidad e Tobago (con estensione anche su Guyana, Suriname, Barbados, Grenada e Saint Vincent e Grenadine) e in Italia (con estensione su Malta e San Marino).
In Cile, dal 2020 al marzo 2022 è stato vicedirettore degli affari strategici presso l'Università del Cile. Nell’ambito del nuovo governo del Presidente Gabriel Boric, è stato per diversi mesi sottosegretario alla Difesa. 
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Nota della Redazione
Punto Continenti, in collaborazione con la sede romana dell’Università Internazionale per la Pace (creata dalla Nazioni Unite nel 1980, con sede principale in Costa Rica) e la REA (Radiotelevisioni Europee Associate), sta eseguendo una serie di indagini e interviste sul ruolo dell’America Latina nella nuova geopolitica mondiale.   
Per la realizzazione e diffusione di questa indagine Punto Continente s’avvale della collaborazione di esperti di organizzazioni come l’IILA (l’Organizzazione Internazionale Italo Latino Americana); Mediatrends America Europa (gestito dal giornalista Roberto Montoya che organizza incontri internazionali di alto livello); il Movimento Tutela Sociale (un Movimento d’opinione internazionale – vedere la pagina Facebook  https://www.facebook.com/groups/508452549970758/);nonché programmi giornalistici, radiofonici e televisivi come Sentir Latino, diretto dal giornalista Luis Flores, che va in onda in Italia (su Radio Mambo e presto su One Tv) e in America Latina. Ma ecco l’intervista.
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Dal mese di marzo del 2022 Gabriel Boric è il più giovane Presidente del Cile. Ma chi è veramente Boric a livello umano e politico?
Il Presidente ha 36 anni ed è un politico nato e cresciuto nell'estremo sud del Cile, a Punta Arenas, la città più meridionale del Paese e dove finisce il continente. I suoi studi universitari si sono conclusi a Santiago, presso l'Università del Cile, dove si è distinto come leader studentesco, partecipando alla creazione di nuovi movimenti fortemente caratterizzati, come la "nuova sinistra" alternativa ai partiti tradizionali. In precedenza, Boric è stato eletto deputato per propri meriti, sfidando i partiti tradizionali e creando una Convergenza Sociale, che gli ha permesso di entrare in Parlamento insieme ad altri giovani uomini e donne. Si tratta di una persona sensibile ai cambiamenti avvenuti in Cile, nonché un grande lettore e amante della poesia e della storia.
Molti sostengono che Boric potrebbe diventare un modello per la sinistra latinoamericana e forse mondiale. Lo crede anche Lei?
È la realtà politica del governo a mettere alla prova la capacità di leadership. Questo governo si è appena insediato e non si trova certamente in una facile situazione. Boric governa con due coalizioni di partiti: il Fronte Ampio, che riunisce il suo partito e altri simili insieme al Partito Comunista. Poi c’è il  tradizionale centrosinistra, formato dal Partito Socialista, Partito per la Democrazia e altri. Inoltre, ha ereditato una rilevante crisi economica e migratoria, la pandemia, la crescita sostenuta della criminalità, del movimento indigeno in Araucanía e il processo costituzionale che dovrebbe dotare il Cile di una nuova Costituzione. 
Sono tempi difficili che vedono, tra l’altro, il Parlamento spaccato praticamente a metà tra le forze di governo e quelle di opposizione. La temperanza è una delle virtù auspicate da Macchiavelli e che ora molti si aspettano dal Presidente. Dobbiamo essere attenti e accompagnare Boric, osservare la sua leadership e capacità di leggere correttamente i tempi politici e ciò che la maggioranza delle persone vuole. Allora sapremo se diventerà un leader nel senso più ampio della parola, sia in Patria che all’estero.
Il 4 settembre i cileni hanno respinto a larga maggioranza la nuova Costituzione proposta dal Presidente che avrebbe dovuto sostituire quella lasciata in eredità dal dittatore Augusto Pinochet. Cosa non è piaciuto alla gente? Si scriverà un'altra Costituzione?

Ci sono molte letture e interpretazioni a riguardo. Penso che ci sia stato un eccesso di entusiasmo e di volontarismo determinato dal fatto che quasi l'80% si è dichiarato favorevole a una nuova Carta costituzionale. Tuttavia, i costituenti non rappresentavano un gruppo omogeneo. C’erano molti indipendenti e gruppi radicali che attraverso le loro rivendicazioni estreme intendevano "prendere d'assalto il paradiso"... senza leggere bene ciò che veramente la maggioranza delle persone desiderava: cioè, una maggiore moderazione e rispetto alle tradizioni cilene risalenti a oltre 200 anni di vita come Repubblica, nonché  un giusto equilibrio tra i diversi interessi della società cilena.
 
Risultato: il 62% degli elettori ha respinto la proposta, che la destra ha interpretato come un trionfo delle proprie idee e una punizione per il governo del Presidente Boric. Senza dubbio verrà elaborata una nuova Costituzione ma la procedura per l'elezione dei componenti, i tempi e la metodologia dovranno ancora essere decisi dal Parlamento.

Dal 1973 al 1990 il Cile ha vissuto sotto la dittatura di Pinochet. Come la popolazione ricorda questo tragico periodo storico?

Sono passati 32 anni dalla fine della dittatura. Rimangono molte ferite aperte, soprattutto quelle legate alle gravi violazioni dei diritti umani e alla ricerca dei detenuti scomparsi, nonché al ritrovamento delle loro spoglie.  Le famiglie hanno diritto a dare alle persone scomparse una degna sepoltura, anche per attenuare l’immenso dolore che hanno sofferto. Le nuove generazioni hanno saputo quanto sono stati terribili quegli anni e il coraggio di chi ha affrontato Pinochet. 

Il governo del presidente Boric è composto principalmente da giovani che erano bambini o non erano nati al termine della dittatura. La figura e la memoria del Presidente Salvador Allende è cresciuta come simbolo di coerenza e impegno verso i più bisognosi. Il suo ultimo messaggio trasmesso l'11 settembre 1973, un'ora prima che gli aerei militari bombardassero il Palacio de La Moneda, fa parte dell'eredità universale di coloro che lottano per una società più giusta. Il prossimo anno sarà il 50° anniversario del colpo di Stato e sicuramente avverranno tante commemorazioni,  sia in Cile che all'estero. Verranno, quindi, rievocati quei tre anni di presidenza vissuti nel bel mezzo della Guerra Fredda e quando per la prima volta un candidato marxista è arrivato alla presidenza in maniera democratica attraverso il voto. 

Sebbene le condizioni storiche e politiche siano molto diverse, pensa che ci sia sempre il pericolo di un nuovo colpo di stato militare per un governo che dovesse  spostarsi un po' troppo a sinistra, secondo certi poteri forti?

Non lo penso. I tempi sono molto diversi in America Latina e nel mondo. Vediamo che c'è una crescita dei partiti di estrema destra che non hanno bisogno di un colpo di stato militare per andare al governo. Il Cile non sfugge a questa realtà. Il populismo di destra è pericoloso nel nostro continente tanto quanto il populismo di sinistra. Paesi come Cuba, Nicaragua o Venezuela non lasciano fiorire la diversità che offre la democrazia e non hanno risolto i gravi problemi economici che affliggono le loro società. Al contrario, in questi Paesi ogni giorno c'è una maggiore richiesta di democrazia nonostante la crescente repressione, censura sulla stampa e autoritarismo.
 
Il Cile è sempre stato uno dei paesi che si è occupato maggiormente dei problemi sociali, della salute, dell'istruzione, del sistema pensionistico, ecc. Come è la situazione in questo momento?

Il Cile ha vissuto nel 2019 una grave agitazione sociale che ha messo in discussione il modello di sviluppo ereditato dalla Costituzione di Pinochet. Un modello che non è stato possibile modificare perché è sempre mancato il necessario sostegno della destra, molto orientato verso la creazione di uno Stato sussidiario basato sulla privatizzazione della sanità, dell'istruzione, delle pensioni e dell'acqua. 

In ogni caso, i 32 anni di democrazia ci hanno permesso di modificare aspetti fondamentali della gestione dello Stato, oltre a consentire l'integrazione del Cile nel mondo attraverso accordi commerciali, tipo quelli che abbiamo sottoscritto con l'Unione Europea e molti altri paesi. Nel frattempo, la povertà è stata ridotta dal 40% al 20% e si sono aperte diverse opportunità per le nuove generazioni. 

Tuttavia, la disuguaglianza, sebbene diminuita, continua ad essere un fattore di divisione ed esclusione, non solo in Cile, ma in tutto il mondo, come sottolineato molto bene dall'economista francese Thomas Piketty. Si tratta, probabilmente, della sfida più grande della presidenza Boric. Realizzare politiche pubbliche che riducano le disuguaglianze significa innovare e aprirsi a nuove modalità di governo e di lettura delle istanze della popolazione. La stessa crescita economica ha generato cittadini più esigenti e connessi attraverso i social network e che non ammettono più certi errori o colpe.

Di tanto in tanto si legge che gli indigeni Mapuche manifestano, a volte anche con durezza e violenza, perché si sentono emarginati. Puoi dirci come si intende risolvere questo vecchio problema?

È un problema che si trascina sin dall'inizio della Repubblica, nel 1810. Il popolo mapuche, e altri, già vivevano su queste terre molti secoli prima dell'arrivo di Colombo e dell'impero spagnolo. Sfortunatamente, la diversità vissuta nella nostra società non è mai stata riconosciuta. Il territorio mapuche fu in gran parte usurpato dallo Stato del Cile, le loro terre furono cedute ai coloni ed essi furono condannati all'emarginazione, alla povertà e anche allo sterminio. Solo a partire dal 1990 la società cilena ha iniziato a prendere piena coscienza della realtà dei popoli indigeni che abitano il territorio, ma a loro non è mai stato conferito il riconoscimento costituzionale che rivendicano. 

Oggi ci sono gruppi armati minoritari che non intendono negoziare con lo Stato e attaccano la presenza delle grandi compagnie di legname che controllano buona parte del territorio, bruciando case appartenute a famiglie insediate da molto tempo su quei terreni. È un problema che non può essere risolto con la forza, che richiede molti negoziati  e misure concrete per dare finalmente dignità alle diverse rivendicazioni, cominciando dal riconoscimento costituzionale dei popoli indigeni che abitano su quei territori.


Nel contesto della nuova geopolitica è noto che la Cina sta cercando di aumentare la sua influenza non solo in Africa e in Asia ma anche nel continente latino-americano. Com'è la situazione cilena?

La Cina è già una potenza globale, ormai alle spalle degli Stati Uniti. È un Paese che spera di raggiungere presto il primo posto grazie alle dimensioni della sua economia e potenza militare. Sicuramente passerà del tempo affinché ciò accada, ma stiamo assistendo al cosiddetto "dilemma di Tucidide", che osservò nel IV secolo a.C. l'ascesa di Atene contro Sparta. In America Latina, la Cina è diventata il mercato principale per le esportazioni di paesi come Brasile, Argentina, Cile e altri. 

Anche gli investimenti cinesi sono sempre più importanti, soprattutto in circostanze di acuta crisi economica come quella che stiamo affrontando in questo momento a causa della pandemia, della guerra in Ucraina e dell'inflazione globale. 
I Paesi latinoamericani non possono chiudere le loro economie agli investimenti cinesi che creano posti di lavoro e crescita. L'UE e gli Stati Uniti in passato hanno ignorato a lungo l'America Latina, concentrandosi sull'Europa orientale, dopo la caduta del muro di Berlino. Una scelta per molti versi anche logica. 

È vero che l'espansione globale cinese è arrivata anche in America Latina ma almeno finora non sono state create basi militari. In Cile gli investimenti si sono concentrati principalmente nei settori minerario e delle energie rinnovabili. La presenza cinese è in progressivo aumento senza raggiungere, tuttavia, importi comparabili con quelli effettuati dagli investitori storici come l'UE, gli Stati Uniti, il Canada, il Giappone, l'Australia e altri.

Lei conosce molto bene l'Italia. Oltre ad essere stato Ambasciatore del Cile, è stato anche delegato presso la FAO e altri organismi con sede a Roma. Come vede i rapporti economici e politici tra il Cile e l’Italia? In quali settori produttivi questi rapporti potrebbero essere intensificati?

Italia e Cile condividono una lunga e storica amicizia consolidata nel tempo con la presenza di un'importante comunità italo-cilena. Nel 20° secolo Arturo Alessandri, di origine italiana, e suo figlio Jorge furono eletti Presidenti della Repubblica, lasciando un segno significativo nella politica cilena. Negli anni '70, l'Italia ha aperto le sue porte e il suo cuore a migliaia di cileni sfuggiti alla dittatura di Pinochet. La sede dell'Ambasciata d'Italia a Santiago era un simbolo e uno spazio di salvezza per le famiglie che vi trovavano asilo. 

A livello economico, sono tante le grandi aziende italiane presenti in diversi ambiti come l'edilizia, la moda, l'auto o la tecnologia. Poi c’è  l’ENEL, vero e proprio simbolo in campo energetico e che contribuisce allo sviluppo sostenibile del Paese introducendo innovazione e permettendo alla matrice energetica cilena di essere decontaminata. 

Infine, per quanto riguarda la FAO, molti ritengono che le tre organizzazioni delle Nazioni Unite con sede a Roma e impegnate nella lotta alla fame nel mondo dedichino uno spazio inadeguato ai Paesi dell'America Latina, nonostante che questi Paesi abbiano spesso gli stessi problemi di alcuni Stati africani e asiatici. Condivide questa critica?

No, la considero una critica ingiusta per diversi motivi. In primo luogo, la responsabilità della lotta alla fame compete a ciascun Paese e alle sue politiche sociali. FAO, IFAD e WFP sono estremamente importanti nei Paesi in via di sviluppo in quanto forniscono risorse e programmi di assistenza tecnica. In occasione delle crisi umanitarie, ad esempio, è il WFP con i suoi funzionari a trovarsi sul posto: funzionari che spesso rischiano la propria vita pur di alleviare la fame e la sofferenza. Va anche considerato che le agenzie delle Nazioni Unite operano su mandati precisi che vengono concordati con i governi entro limiti ben definiti.  

La diffusa critica al sistema internazionale e alle sue organizzazioni multilaterali probabilmente in molti casi andrebbe rivolta ai committenti, cioè, agli Stati nazionali. Tra i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile concordati nel 2015 da tutti i Paesi che compongono le Nazioni Unite, in cima alla lista si trova la povertà seguita dalla la fame che dovrebbe essere sconfitta entro il  2030. Considerando le circostanze attuali è ragionevole pensare che ciò sia possibile? Personalmente lo ritengo molto difficile a causa delle diverse difficoltà che stiamo affrontando, come il cambiamento climatico, la guerra, la crisi economica e altre variabili. 

Nella realtà, invece di diminuire sta incrementando la fame nel mondo, anche in America Latina. E pensare che, nel frattempo,  le spese militari aumentano di anno in anno rimandando continuamente le speranze di milioni di persone di avere una vita migliore. Il cambiamento climatico è il nemico comune di tutto il pianeta: contrastarlo nei suoi aspetti più negativi dovrebbe essere la priorità di ogni Stato. Ormai appare fondamentale unire tutti gli sforzi e risorse per alleviare l’umanità da una situazione che colpisce indistintamente tutti.