(Foto: Fabio Porta sullo sfondo della Camera dei Deputati)

Classe 1963, originario di Caltagirone, sposato, due figlie, laureato in sociologia economica alla Sapienza di Roma, l’On. Fabio Porta dal 2008 è membro del Parlamento italiano per la Circoscrizione America del Sud. Dal 1998 Porta vive nella grande megalopoli di San Paolo del Brasile (la città che contiene il maggior numero di italiani nel mondo). Sempre nel 1998 è stato uno dei  fondatori del Centro “Spazio dei Sogni”, un’entità socioassistenziale che si occupa di famiglie povere e dei loro bambini. Un impegno proseguito con costanza nel corso degli anni. Recentemente, ad esempio, ha promosso la presentazione alla Camera la VII Edizione del Piccolo Festival delle Spartenze che si occupa di Migrazioni e Cultura ed è diretto da Giuseppe Sommario.

Dal 2000 al 2008 Porta è presidente del Patronato Ital-Uil, incarico lasciato a marzo 2008 quando venne eletto deputato nelle liste del Partito Democratico. Verrà poi rieletto nel 2013, mentre nel 2018  ottiene 21mila preferenze. A causa di brogli elettorali, il seggio viene attribuito a USEI e non al PD; dopo un lungo iter presso la Giunta delle elezioni del Senato, il 2 dicembre l’aula del Senato vota la decadenza del Senatore Adriano Cario e il 12 gennaio 2022 la Presidente del Senato proclama ufficialmente la nomina di Fabio Porta quale legittimo senatore eletto nella Ripartizione America Meridionale della Circoscrizione Estero. Abbiamo pensato di iniziare questa nostra intervista con Porta incentrata sullo stato dell’arte dei rapporti tra l’Italia e l’America Latina, partendo da una delle sue ultime iniziative: un Convegno sulla stampa italiana all’estero. Ecco cosa ci ha detto.

On Porta, come è nato e cosa si è proposto  di raggiungere il convegno sulla stampa italiana all’estero?

Su proposta di una importante organizzazione dell’emigrazione italiana nel mondo, la FILEF, ho organizzato alla Camera dei Deputati un convegno sul futuro dell’informazione italiana all’estero, con particolare riferimento alle nostre collettività ivi residenti e alle criticità della legge che regola i finanziamenti per le testate edite all’estero. Mi è sembrato un tema strategico e cruciale, anche perché lo considero intimamente legato alla qualità della nostra democrazia. Senza una informazione capillare e di qualità, infatti, i nostri elettori diventano facilmente prede della disinformazione e di fenomeni devianti, come ad esempio la manipolazione del voto all’estero. 

Lei ha fatto una durissima interrogazione parlamentare sul caso Gente d’Italia. Di cosa si tratta esattamente?

Il caso GENTE D’ITALIA, come ho detto durante i lavori del convegno, è paradigmatico perché evidenzia le criticità di una legge che rischia di favorire addirittura la censura, quindi la non applicazione all’estero dell’art.21 della Costituzione. L’attuale normativa, infatti, vincola l’emanazione del contributo a due pareri: uno del Comites e l’altro dell’Ambasciata. Nonostante che questi pareri dovrebbero attenersi all’attestazione dell’esistenza della testata e alla sua circolazione all’interno della collettività italiana, negli ultimi anni sono diventati strumenti di vera e propria censura da parte di chi non condivide la linea editoriale del giornale.

Come è lo stato di salute della stampa italiana all’estero e cosa bisognerebbe fare subito?

Lo stato di salute non è dei migliori. Le risorse sono drasticamente diminuite e questo tipo di legislazione finisce paradossalmente per penalizzare i professionisti seri e le pubblicazioni migliori. Serve una nuova normativa, e soprattutto un sostegno a 360 gradi, che non riguardi solo la carta stampata ma anche il web, le radio e le televisioni. In questo senso il convegno ha dato delle indicazioni sulle quali lavoreremo, accogliendo anche la disponibilità che ci ha portato il Sottosegretario agli Esteri Giorgio Silli.

Un altro argomento molto dibattuto riguarda la questione della cittadinanza. C’è chi parla di ‘ius solis’ e chi di ius sanguinis’. Secondo lei come andrebbe modificata la legge sulla cittadinanza?

Il concetto di cittadinanza ha radici profonde e antiche. Nel diritto romano, lo status civitatis distingueva il cittadino romano (civis romanus) dal non cittadino e, unito agli altri due status – lo status libertatis e lo status familiae era condizione necessaria per disporre della capacità giuridica.

Nei secoli più recenti questo concetto si è evoluto, e spesso al di là dei semplici confini geografici delle nazioni, basti pensare ai Paesi del Commonwealth britannico o semplicemente alla “cittadinanza europea” che ci accomuna ai 27 Paesi dell’UE. Se non è possibile imbrigliare la cittadinanza dentro le quattro pareti di una definizione giuridica, al tempo stesso non possiamo non concordare sul fatto che determinate regole siano necessarie per rendere ordinata la convivenza civile.

Se vogliamo allora aprire una vera discussione su questo tema, così come è stato detto in Parlamento il giorno della presentazione dell’intergruppo sulla cittadinanza, dobbiamo farlo lontano dalle tifoserie degli ‘ius’ e vicini al cuore di migliaia di ‘nuovi italiani’ che guardano al nostro Paese con fiducia e speranza. Sarebbe miope, oltre che ingiusto, voltarsi dall’altra parte e non ricambiare con altrettanta sincera disponibilità questa bellissima apertura di credito nei nostri confronti.

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Intervista di repertorio (2022). Fabio Porta parla del voto degli italiani all’estero