(Foto: nel riquadro Nello Gargiulo, sullo sfondo una sfilata italiana in Argentina)

Si calcola che i cittadini di origine italiana nel mondo siano quasi 60 milioni: praticamente un’altra Italia. Naturalmente solo una parte gode della cittadinanza italiana. Ebbene, dopo una prima scoperta della sua notevole importanza, si ha la sensazione che nel corso del terzo millennio la voce di questa grande Comunità si stia gradualmente affievolendo all’interno del nostro Parlamento. Ma facciamo un piccolo salto indietro. Con la legge n.459 del 27 dicembre 2001 (meglio conosciuta come Legge Tremaglia) venne consentito agli italiani all’estero di eleggere al Parlamento italiano i propri candidati. Lo strumento è la cosiddetta Circoscrizione Estero, utilizzata per la prima volta alle elezioni politiche del 2006. Il numero dei seggi prevedeva 12 deputati (su 630) e 6 senatori (su 315).

A seguito, però, dell’approvazione del referendum costituzionale avvenuto in Italia del 2020, in materia di riduzione del numero di parlamentari, attualmente attraverso la Circoscrizione Estero vengono eletti 8 deputati (su 400) e 4 senatori (su 200). Ma non è finita qui. Ora si comincia a parlare di ridurre o cancellare anche le rappresentanze degli italiani all’estero fatta dai vari Comites (Comitati Nazionali) e il CGIE, il Consiglio Generale degli italiani all’estero.

A questo punto bisogna anche dire che negli anni passati diversi parlamentari eletti all’estero non hanno certamente brillato per efficienza e impegno. Inoltre, non sono mancati casi clamorosi di brogli elettorali. Ma quello che è certo è che l’Italia, nell’ambito anche della nuova geopolitica mondiale non può permettersi di trascurare la grande comunità italiana all’estero, spesso molto ben inserita nei vari Paesi e in grado di incidere anche sulle politiche dei diversi Stati.

Sono state queste le riflessioni ci hanno spinto a intervistare Nello Gargiulo, membro del CGIE e autorevole rappresentante della Comunità italiana in Cile nonché autorevole editorialista di ‘Presenza’, noto periodico degli italo-cileni.

Dott. Gargiulo, in Italia qualcuno anche all’interno del Ministero degli esteri, ritiene che alcune rappresentanze come il CGIE o i Comites (Comitati degli italiani all’estero) non hanno più ragione d’essere, visto che abbiamo un gruppo di parlamentari italiani eletti nelle varie Circoscrizioni all’estero. Lei cosa ne pensa?

Effettivamente e da più parti periodicamente si alzano voci critiche contro la rappresentanza dei parlamentari eletti all’estero, i Comites e il CGIE che avrebbero perso la loro ragione di continuare ad esistere. In realtà ognuno di questi organismi di rappresentanza degli italiani all’ estero appoggia la sua esistenza sulla stessa legge che li ha istituiti. Sono più di tre decenni che funzionano e probabilmente la legislazione va adeguata. I Comites sono gli interlocutori dei connazionali nei confronti dei Consolati e sono, oltre che difensori di diritti (soprattutto dei diritti civici dei connazionali), anche antenne capaci di segnalare le problematiche relative ai servizi vari, necessari per l’esercizio all’ estero della cittadinanza consapevole.

Ciò nonostante svolgono anche una funzione di confronto delle diverse sensibilità delle comunità italiane. Il sistema proporzionale elettorale per i candidati assicura questa diversità e fa di essi potenziali strumenti di esercizio di democrazia.  Eliminarli equivarrebbe a togliere spazi di incontri e di crescita democratica nello spirito di una italianità che poi è la vera ragione ogni Comites.

Andiamo un po’ nello specifico. Di cosa si occupa esattamente il CGIE?

Il CGIE è un organismo che per la sua costituzione permette alle comunità italiane sparse nel mondo di portare la propria voce presso il governo italiano attraverso il Ministero degli Esteri e la direzione ministeriale per gli italiani nel mondo.  In qualche modo il CGIE  è un punto di confluenza delle problematiche che esprimono successi, insuccessi, bisogni e offerte di opportunità e punti di forza delle comunità italiane nel mondo.  Quest’ organismo, con i suoi rappresentati eletti congiuntamente dai Comites e dalle Associazioni riconosciute dalle autorità consolari, è un’espressione soprattutto della capacità associativa storica ed attuale degli italiani che sono nati in terra di emigrazione. Il mondo del no profit sta alla base dei sistemi di gestione di questo tipo di associazionismo.  In pratica è la società civile italiana che si prolunga all’estero. In qualche modo pur essendo radicate nei territori dei paesi di accoglienza diventano automaticamente anche un contributo civico per le funzioni ed i fini che perseguono.

Va da sé che l’attività del CGIE è frutto di un lavoro che deve concentrarsi soprattutto nella divulgazione di informazioni provenienti dalle Comunità italiane e di proposte che scaturiscono dal lavoro delle commissioni, in modo da poter fornire al governo tematiche ed elementi validi per definire le priorità degli interventi.

         Però c’è chi si lamenta che il CGIE è un po’ paralizzato nelle sue attività. Come spiega questo fatto?

Chiaramente nell’ attuale Consiglio siamo ad un punto di svolta.  C’è voluto un anno per costituirlo dopo le elezioni dei Comites (dicembre 2021) per le dispute di come far quadrare la rappresentanza governativa fatta da venti membri. È stato un periodo lungo dove il troppo attaccamento a interessi di parte unito al cambio del governo, avvenuto nel settembre 2022, ha generato un periodo di incertezze e di scarsa attività.

La componente di nomina governativa e delle parti sociali dovrebbe essere di ascolto e di appoggio ai consiglieri eletti per facilitare la soluzione politica delle varie problematiche. A mio avviso l’ultima assemblea costitutiva che si è svolta  nel giugno del 2023 non ha contribuito ad affermare la forza del CGIE, soprattutto perché prima di procedere alle nomine degli incarichi (segretario generale -commissioni continentali e tematiche del comitato di presidenza, ecc.) ci dovevano essere momenti di profonda riflessione sulle tematiche e sui metodi operativi in modo da mettere la struttura organizzativa in funzione degli obiettivi da raggiungere.

Invece cosa è successo?

Ha prevalso l’ansia e la fretta di procedere subito alla ripartizione degli incarichi che è avvenuta in modo matematicamente perfetta anche per accordi fatti prima.  La situazione che si è prodotta in questo momento appare poco operativa. Due esempi che mi toccano da vicino, pur essendo io il rappresentante di uno dei paesi più lontani da Roma e con minore incidenza di rappresentatività. Il primo esempio riguarda la commissione dalla lingua e cultura italiana che ha solo 5 membri, di cui tre sono consiglieri dell’Europa. Nessun membro della commissione è di nomina governativa e solo una dell’America Latina. In sostanza,  dei 15 consiglieri eletti, 6 paesi sono rappresentati da una sola persona. Domanda: quanto è vera l’importanza che attribuiamo alla lingua italiana nei Paesi che rappresentiamo e nell’intero contesto dei Paesi che non hanno una rappresentanza diretta nel CGIE?

E il secondo esempio?

Ancora non si vedono programmi chiari e definiti almeno per la Commissione America latina. Non è sufficiente avere semplicemente degli scambi su problematiche come quelle consolari che conosciamo bene. Intanto, i finanziamenti non sono sufficienti, il coinvolgimento dei consiglieri CGIE è scarso nell’ambito del Sistema Paese, ecc. Probabilmente vanno messi a fuoco due temi che sono vitali: la relazione tra lingua e cittadinanza e come dare forza e aggiornamento al mondo associativo storico in funzione dei ruoli che questo mondo svolge nei settori della lingua e dell’aggregazione del tessuto imprenditoriale e commerciale all’estero. E, quindi, di promotore in modo preminente del made in Italy.

Uno dei problemi che da molto tempo assilla molti dei discendenti degli italiani all’estero riguarda le enormi difficoltà di ottenere la cittadinanza. Su questo specifico argomento qual’ è la sua opinione?

L’eccessivo allungamento dei tempi per ottenere la cittadinanza è dovuto a una serie di vincoli burocratici che hanno una valenza quasi generazionale. Si tratta di un aspetto molto interessante dell’italianità ma per essere portato sul piano della consapevolezza deve essere disciplinato ed alimentato in parallelo con la strada giuridica. Occorre tenere conto anche di vincoli morali e, soprattutto, della conoscenza della lingua e della cultura italiana. Aspetti questi che non dovrebbero mai essere dimenticati. Si tratta di preservare il binomio: diritto di cittadinanza e consapevolezza, questo se si aspira a diventare cittadino italiano. In parole povere, non si può prescindere dalla lingua e dai fondamenti della nostra cultura.

In quest’ottica s’inquadra anche il ‘Turismo delle Radici’ che, se ben gestito, potrebbe determinare importanti risvolti come, ad esempio, la possibilità di contrastare lo spopolamento di  tanti luoghi in Italia. Non intervenire per disciplinare l’ottenimento della cittadinanza significherebbe, tra l’altro, mettere ancora di più sotto torchio i consolati, ritardando contemporaneamente tutta l’attività legata allo stato civile, al rinnovo dei passaporti e a tante altre funzioni.

Per concludere, le chiedo una battuta sui parlamentari eletti all’estero.

Credo che questi parlamentari hanno un ruolo molto importante perché portano la voce degli italiani all’interno Parlamento a Roma, dove è essenziale far sentire la presenza degli italiani nel mondo. Direi che, sebbene siano in un numero ridotto, in questa legislatura si stanno facendo sentire. Naturalmente, anche in questo caso occorre avere un po’ di pazienza. Come è noto, l’esperienza non si matura in un solo giorno.

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