Foto: a sinistra Alberto Aggio. A destra l’ex Presidente Lula. 

 

Non solo in Brasile ma in tutto il mondo ha destato profonda impressione l’arresto in Brasile di Luiz Inácio Lula da Silva, meglio conosciuto con il soprannome di Lula. Trentacinquesimo Capo di Stato di questo gigante dell’America Latina (dal 2003 al 2011), Lula vanta origini umilissime: è stato operaio metalmeccanico e sindacalista, ma soprattutto un’icona della sinistra mondiale, avendo raggiunto importanti risultati sul piano della lotta alla fame, della mancanza d’istruzione, della sanità pubblica, delle disuguaglianze sociali. Ora è stato accusato e condannato a 12 anni e un mese per corruzione e spedito in una cella di 15 metri quadrati. Insieme a lui si trova sotto accusa gran parte del mondo politico brasiliano che ha Governato il Paese negli ultimi 15 anni, tra cui anche Dilma Rousseff che è succeduta a Lula e che è stata costretta alle dimissioni. Insieme a loro si trovano sul banco degli imputati moltissimi membri del PT, lo storico Partito dei Lavoratori. Senza retorica possiamo dire che oggi mezzo Brasile festeggia, l’altra metà è in lacrime. Ma sentiamo il parere su questa intricata vicenda di Alberto Aggio, Professore di Storia Contemporanea nello Stato di San Paolo del Brasile e autore di diversi libri (alcuni anche su Gramsci), nonché uno dei più importanti collaboratori del prestigioso giornale ‘O Estado de Sao Paolo’. 

 

Professore, cosa ci può dire in merito all’arresto dell’ex Presidente Lula?

 

L’arresto rappresenta il normale percorso di un Paese che vuole preservare la giustizia, che vuole vedere il Brasile come un Paese repubblicano in cui la legge è uguale per tutti. Ovviamente questo è un caso molto speciale. Per la prima volta nella storia un ex Presidente viene processato, condannato e imprigionato per un crimine comune. Lula non è un prigioniero politico. Questa è una narrazione che non regge. Ha utilizzato, quando era Presidente, i beni di tutti i brasiliani a proprio vantaggio. E questo processo, per il quale è stato condannato, è solo uno dei processi: ci sono diversi altri capi d’accusa contro l’ex Presidente.

 

Molti, però, sollevano il dubbio che l’arresto di Lula sia finalizzato essenzialmente a impedire che lui possa partecipare ed eventualmente vincere le prossime elezioni presidenziali in calendario a ottobre di quest’anno. Lei che ne pensa?

 

In effetti, c’è questa coincidenza. Lula risulta in vantaggio nei sondaggi. Ma il punto è che le azioni legali contro di lui riguardano crimini comuni. Non sarebbe possibile per il sistema giudiziario brasiliano non dare corso alle denunce, che non sono poche e soprattutto sono gravissime. I vari processi a suo carico non riguardano reati politici ma reati comuni, che necessariamente debbono essere perseguitati. Noi li chiamiamo crimini dei “colletti bianchi”. Lula attualmente è solo un ex operaio e un ex leader sindacale milionario. Il suo coinvolgimento negli appalti e in altri settori economici è stato provato ed è stato abbastanza dannoso per il Paese.

 

A Lula non verrà impedito di partecipare alle elezioni a causa del suo arresto ma a causa della mancanza di una fedina penale pulita, esigenza che il suo stesso partito PT ha contribuito a far approvare in Parlamento. Questa norma impedisce di candidarsi a tutti coloro che sono stati condannati in appello. Lula e il PT sanno molto bene che è così ma cercano di politicizzare i processi nel tentativo di recuperare il consenso perso tra la gente dopo l’impeachment (della Presidente Rousseff, N.d.R.) e le elezioni comunali del 2016, quando hanno perso più della metà delle città che governavano.

 

Se la popolarità di Lula è talmente vasta vuol dire che buona parte della popolazione brasiliana giudica positivamente i suoi due Governi, soprattutto sul piano sociale. Il suo arresto non potrebbe creare dei seri problemi? 

 

La popolarità di Lula è indiscutibile. Tuttavia lui non ha la maggioranza assoluta. Il suo consenso s’aggira tra il 20 e il 30%. Si tratta di una forza importante soprattutto in considerazione del frazionamento del quadro politico in una misura mai registrata prima. Lula è certamente un mito politico. Ingloba l’idea dell’eroe dei poveri, una specie di Robin Hood, per essendo stato un grande amico dei ricchi. Negli ultimi anni si è addirittura trasformato in una specie di lobbista della Oldebrecht (una delle più grandi multinazionali brasiliane, n.d.r.). L’altro giorno si è paragonato a Gesù Cristo dicendo alla gente ‘Io vivo in te’ . Si tratta di una nuova strategia per la campagna ‘Lula Libero’: una visione elitaria, tipica dei cosiddetti discorsi populisti.

 

Non teme che andando in prigione alla fine Lula diventi ancora più forte, diventi una vittima e una leggenda brasiliana e internazionale? 

 

Lula è già un mito. E come per ogni mito se non vogliamo restare soggiogati, dobbiamo essere critici, pensare e rimanere in grado di analizzarlo. Non penso che Lula finisca per rafforzarsi a seguito del suo arresto. Al contrario.  Ciò che è emerso con il suo arresto è che Lula è ormai politicamente isolato all’interno di una sinistra anacronistica, che fa un discorso anacronistico, incapace di affrontare il mondo attuale. Oggi Lula fa un discorso di stampo bolivariano (il professore si riferisce all’ideologia portata avanti in Venezuela dal deceduto Presidente Ugo Chávez, N.d.R.) con ricordi nostalgici dell’era del sindacalismo di quasi 40 anni fa, senza più alcuna seria proiezione orientata verso il futuro. E peggio, senza riconoscere che il suo secondo governo e i due successivi governi di Dilma Rousseff hanno portato la nazione verso la più grande crisi economica della sua storia, con una disoccupazione record e una crescente polarizzazione politica mai vista prima nel Paese. Credo che ormai sia un bene per il Brasile superare il mito Lula e il suo periodo, in modo da potersi reintegrare nel mondo, fare le necessarie riforme e guardare avanti. Lula ancora dispone di una certa forza ma ormai rappresenta il passato.

NOTA: Vedere il video con Alberto Aggio