Federico Guiglia

Oltre che in Brasile a Bolivia, presto si voterà per la Presidenza della Repubblica anche in Uruguay (il primo turno è previsto per il 26 ottobre). Parliamo del piccolo Paese confinante con Brasile e Argentina ma che sul piano sociale e culturale ha sempre rappresentato un faro e non solo per l’America Latina. In Uruguay vivono, tra l’altro, i discendenti di una fortissima emigrazione italiana (quasi il 40% della popolazione) e qui Garibaldi ha scritto una delle sue migliori pagine in Sud America. Ed è proprio per parlare di queste imminenti elezioni abbiamo intervistato Federico Guiglia, giornalista, scrittore e conduttore televisivo. Nato e cresciuto a Montevideo (Uruguay) da padre di Mantova e madre uruguaiana, s’è formato professionalmente in Italia alla ‘scuola’ e al Giornale di Indro Montanelli. E’ editorialista di diversi e importanti quotidiani regionali (L’Arena di Verona, Giornale di Vicenza, Bresciaoggi, La Gazzetta di Parma) e collaboratore de Il Messaggero a Roma. Ha condotto programmi televisivi a La7 e a Rai International e pubblicato quindici libri (anche in spagnolo). Sposato e padre di due figli, vive a Roma e viaggiando. 

 

Si stanno avvicinando le elezioni politiche in Uruguay che vedranno l’uscita di scena del Presidente Mujica diventato un mito internazionale e che non si può ricandidare sulla base della legge uruguaiana. Cosa può significare questa uscita di scena sia per le forze di governo che di opposizione?

 

Lo stesso interrogativo suscitò, allora, l’uscita di scena di Tabaré Vázquez, anche lui popolarissimo presidente dell’Uruguay (e oggi ricandidato): che succederà adesso, si chiedevano tutti? Ma il sistema istituzionale e la tradizione pubblica sono così ancorati, che il ricambio delle persone, persino di quelle che hanno rivelato notevole personalità come Mujica e prima di lui Vázquez (e prima ancora Jorge Battle e, più indietro nel tempo Julio María Sanguinetti), avviene con naturalezza.

 

Non incide neppure il fatto che gli ex presidenti appena citati appartengano a formazioni politiche diverse. Perciò, più che in patria, la mancanza di Mujica, con i suoi atti e le sue parole controcorrente che hanno fatto il giro del mondo, si sentirà, appunto, all’estero. Non capita tutti i giorni che un presidente della Repubblica decida di decurtarsi lo stipendio del novanta per cento per darne la differenza ai bisognosi. E questo, oltre che un buon esempio, è una notizia di indubbia rilevanza internazionale, come lo è stata.

 

Il Frente Amplo costruito da Mujica presenta come candidato l’ex presidente Tabarè Vasquez. Quali sono le probabilità di vittoria e cosa potrebbe cambiare rispetto alla gestione Mujica?

 

Tabaré è un ex presidente (e medico) molto conosciuto. Oltretutto è il primo ad aver interrotto la ultra-secolare presenza dei due partiti (Blancos y Colorados) che si sono alternati al governo del Paese, specie i Colorados. Rispetto a Mujica, uomo da pane al pane, potrebbe cambiare soprattutto l’approccio personale e di carattere. Anche se Tabaré è persona altrettanto socievole e non meno aperta nei confronti degli altri. Ma i due hanno storie e modi diversi, e una maniera differente di fare politica, pur militando entrambi dalla stessa parte”.

 

 Chi sono e cosa propongono i principali concorrenti all’elezione?

 

Se restiamo alla tradizione, i principali concorrenti di Tabaré sono Luis Alberto Lacalle Pou e Pedro Bordaberry, cioè la nuova generazione quarantenne e cinquantenne dei Blancos e dei Colorados, i conservatori e i riformatori rispettivamente, per semplificare al massimo. Anche se ormai le distinzioni politiche hanno perso gran parte del peso ideologico di una volta. Tant’è che questi due partiti in più occasioni hanno fatto blocco comune contro il Frente di Mujica e Tabaré. Del resto, su diverse questioni le opposizioni e la maggioranza non sono così distanti come potrebbero sembrare in campagna elettorale.

 

L’Uruguay fa parte dell’universo, e in tutto l’universo destra e sinistra hanno annacquato la carica emotiva, ideale e programmatica di forte contrapposizione che avevano in passato. Oggi la politica si fa sui problemi concreti, specie economici, cioè con pragmatismo, e sulla base delle capacità dei leader politici di coinvolgere le persone, d’avere una buona squadra di governo, di saper decidere la cosa giusta al momento giusto. Finiscono, così, col prevalere una trasversalità generale e un interesse nazionale (in molti Paesi governano le “grandi coalizioni” tra forze opposte) che non può non tenere conto della crescente indignazione civile nelle nostre società per le tante forme di ingiustizia esistenti.

 

Ha fatto molto clamore la scelta dell’Uruguay di legalizzare l’uso della droga e il matrimonio omosessuale. Se vincesse l’opposizione è possibile che i due provvedimenti vengano cancellati?

 

In politica tutto è possibile. Ma sui temi cosiddetti sensibili e di coscienza, che poco hanno a che fare con la politica “schierata” e molto con l’etica personale, col civismo, col modo di sentire e di pensare della gente e dei singoli, è difficile immaginare moderne crociate in un senso o nell’altro.

 

Una volta l’Uruguay veniva considerato la Svizzera dell’America Latina. Negli ultimi anni il Paese, dopo una lunga crisi politica ed economica, ha registrato notevoli progressi. Che ruolo l’Uruguay è destinato a giocare in futuro, sia nell’ambito dell’America Latina (in particolare per quanto riguarda il Mercosur) che nei rapporti, ad esempio, con l’Europa e, quindi, anche con l’Italia?

 

Per molte ragioni geo-politiche e civiche, per la sua posizione in mezzo ai due colossi Brasile e Argentina, per la sua storia di società mediamente e da sempre istruita – spesso colta- pacifica e retta, l’Uruguay è l’interlocutore naturale non solo in America latina dei suoi Paesi vicini e lontani, ma pure dell’America latina verso l’Europa e verso gli Stati Uniti.

 

E’ un Paese ben voluto da tutti e questo è un fattore importante in un’epoca di conflitti ovunque. Quanto all’Italia, l’Uruguay è come il suo specchio, dove non si capisce, guardandovi, chi è l’ombra di chi. Uruguaiani e italiani sono fratelli separati dall’Oceano. Spesso non si conoscono e non lo sanno. Ma poi basta che un signore del Río de la Plata, che è il fiume più largo del mondo, diventi Papa, diventi Papa Francesco, per capire quanto l’avvenire sia in comune. L’Atlantico non divide, ma unisce l’America, che non per caso si chiama “latina”, con l’Italia, che è la culla della latinità.

 

Anche in Uruguay, come in Italia, si parla della necessità di riformare la Costituzione. Quali sono i principali problemi sul tappeto?

 

Il problema costituzionale è uguale in tutto il pianeta. E ha due profili: come fare in modo che la legge fondamentale dello Stato garantisca a tutti i valori fondanti e, allo stesso tempo, come farla camminare al passo di un tempo che corre, oggi, velocissimo. Partecipare e decidere, questa è la forza della democrazia. L’Uruguay – ricordo- è la più antica e robusta democrazia del continente.

 

Una domanda, forse un po’ frivola, ma che incuriosisce molti. Che spiegazione si può dare del fatto che un Paese piccolo come l’Uruguay, con una popolazione di poco superiore a quella di Roma, da sempre compete ai massimi livelli calcistici, sfornando ogni anno un’incredibile schiera di campioni, per non parlare dei due titoli mondiali conquistati?  Oltre al naturale talento c’è anche una ragione organizzativa?

 

Il calcio è la ciliegina sulla torta rigorosamente al dulce de leche, che solo in Uruguay è così buono come lo è la nutella in Italia. Il calcio testimonia, certo, il talento nell’arte del vincere giocando, ma anche la grinta, la garra che è tipica, ben oltre lo sport, di tanti uruguaiani nel mondo. Noi non molliamo mai. Noi uruguaiani e noi italiani: io sono le due cose. E’ una bella fortuna. E’ un felice privilegio.