Stefano Schembri

 

Di Stefano Schembri

Washington contro Pechino. Sembra sempre di più questo l’assioma geopolitico moderno, in un mondo che dopo la caduta del muro di Berlino, torna per la prima volta a vedere un paese, la Cina, scalfire l’unipolarismo a stelle e strisce instauratosi a seguito dell’implosione Sovietica. Ma possiamo veramente dire che i prossimi decenni saranno caratterizzati solamente da questi due attori? E quale ruolo potrà avere in tutto ciò il nostro paese?

 

Un’analisi più approfondita sui paesi in sviluppo ci mostra che oltre alla Cina, altri paesi si stanno affacciando sulla scena globale. Parliamo degli ormai noti BRICS (Brasile, Russia, India, la Cina stessa e Sud Africa), ma anche di Indonesia, Viet Nam e Malesia, i quali grazie al bassissimo costo della mano d’opera possono ora attrare massicci investimenti esteri e raggiungere tassi di crescita dal 5 all’8%, che per paesi come il nostro rappresentano un miraggio.

 

L’Italia, sesta potenza mondiale fino a un decennio fa, dopo esser stata scavalcata da Cina e Brasile negli anni passati, si appresta a finire in decima posizione a seguito dell’ininterrotta crescita di Russia e India. Secondo le previsioni, tuttavia, questo è un destino comune per i paesi europei, e non ci vorrà molto prima che Brasile, Russia e India, superino anche il PIL di Regno Unito, Francia e perfino di quello che viene considerato il ‘treno d’Europa’, la Germania.

 

C’è però un dato che può farci sorridere, e deve farci ragionare, ossia il considerare i paesi europei in maniera congiunta, e non singolarmente. L’Unione Europea, risulterebbe cosi la prima potenza mondiale, con un Prodotto Interno Lordo di 16 trilioni di dollari. Anche se calcolassimo la sola eurozona, essa costituirebbe comunque la seconda potenza mondiale, ad un passo dagli Stati Uniti, e di gran lunga sopra la Cina. Una super potenza del genere, di certo stravolgerebbe gli equilibri mondiali, e mediante una maggiore integrazione (in particolare per quanto riguarda l’aspetto fiscale) potrebbe intraprendere politiche congiunte che le permettano di aumentare anche quel tasso di crescita che al momento oscilla fra il +3% della Germania e il -7% della Grecia.

 

I dati parlano chiaro, non costituiscono una teoria economica, e i nostri governi europei ne sono certamente a conoscenza. Una maggiore integrazione è dunque un auspicio di cui i vari leader dovrebbero tener conto, ma la storia ci insegna che sono più frequenti le spinte separatiste (Lega Nord in Italia, indipendentismi Catalani e Baschi in Spagna, ecc.) che quelle unitarie. Inoltre, nei confronti dell’Unione Europea molte critiche sono state fatte a seguito della crisi che ormai colpisce i nostri paesi da diversi anni. Non sono da sottovalutare la proposta di un referendum per l’uscita dall’U.E. del Primo Ministro inglese David Cameron, o del leader del Movimento Cinque Stelle, Beppe Grillo, così come le politiche anti europeiste del Primo Ministro ungherese Viktor Orbán.

 

Se si tratta di populismo o meno potremmo discuterne a lungo, quel che è certo è che nel contesto geopolitico mondiale, con un cospicuo numero di paesi in rapida crescita economica, il ruolo dell’Italia come singolo ha una rilevanza limitata, per giunta in diminuzione, mentre quello dell’Unione Europea in quanto blocco unito, è ben altro discorso. Del resto, senza richiamare citazioni storiche ed erudite, basta il celebre proverbio ‘l’unione fa la forza’ a rendere il concetto.