Foto: mercatino di scambio/baratto/vendita. Riquadri: la Bellussi e il gruppo delle donne promotrici.   

 

Laureata in Lingue e Letterature Straniere, scrittrice e collaboratrice di molte  testate locali,  Alberta Bellussi vive nella Provincia di Treviso. Da molti anni segue con particolare attenzione e competenza le problematiche ambientali,  collaborando assiduamente sulla testata online www.oggitreviso.it e sulla webTv www.venetoglobe.com (dove cura la rubrica  Ecologia e Territori), oltre a gestire un proprio Blog. Mamma di un bambino di 12 anni chiamato Riccardo, la Bellussi ha maturato anche una decennale esperienza politica come Assessore all’Ambiente, al Sociale e alle Politiche Giovanili di un piccolo Comune. Profondamente orgogliosa delle sue origini venete, dotata di una forte personalità e molto severa con se stessa, la Bellussi oltre a divorare libri e a viaggiare spesso, dedica buona parte del suo tempo all’associazionismo e ad alcune iniziative particolari, come quella di dare una ‘destinazione sociale’ ai vesti usati. Ed è proprio su questo particolare impegno che l’abbiamo intervistata.

 

Lei da molto tempo fa parte di un’associazione a carattere sociale chiamata Riusiamo che si occupa di Riuso. Come è nata questa Associazione, cosa fa esattamente e in quali ambiti territoriali opera?

 

RiusiAMO nasce da un idea comune che ho condiviso con l’amica Enrica. Ad entrambe piaceva realizzare un evento a tutto tondo che promuovesse la filosofia del riciclo e del riuso; del non si getta nulla perché potrebbe servire ad altre persone.  Il logo di RiusiAMO è un cuore formato dalla parola AMO per sottolineare  l’amore per l’ambiente e la salute del nostro Pianeta. RiusiAMO è un gruppo, non è ancora un’Associazione; siamo una ventina di donne. Ognuna di noi ha le sue abilità, le sue conoscenze che condividiamo per promuovere la pratica del riciclo e del riuso. Siamo innamorate di questo mondo e lo vorremo lasciare un po’ migliore ai nostri figli.

 

Il nostro evento si svolge il 25 aprile  in un bellissimo Borgo storico della Provincia di Treviso, Borgo Malanotte, nella Frazione di Tezze di Piave.  In quella giornata si svolgono mercatini di Scambio/baratto/vendita, sfilate di moda con vestiti Vintage, laboratori di riuso creativo per  adulti e bambini, nonché la manifestazione ECOGIOCANDO: un laboratorio di giochi creati con materiale di riciclo insieme a uno spazio musicale dedicato ai gruppi che suonano con strumenti musicali ricavati da materiale riciclato. Infine, ci sono seminari di ogni tipo inerenti al tema, mostre d’arte sempre con materiali di riciclo e cucina a spreco zero. E’ un evento che si pregia del logo di Ecoevento dato dal C.I.T (Compagnia Italiana Turismo) e da Savno (Servizi Ambientali Veneto Nord Orientale). E’ un idea molto bella e ben articolata che abbiamo proposto al nostro Consorzio Igiene della Sinistra Piave e a Savno perché, dato il successo che riscontra, diventi evento di riferimento di queste tematiche.

 

Premesso che vestirsi dignitosamente è un diritto fondamentale, secondo lei cosa dovrebbe fare lo Stato per risolvere questo problema che ha numerosi risvolti, tra cui anche quello di facilitare o meno la ricerca di un lavoro?

 

Mah è una domanda molto bella alla quale non si riesce a dare la risposta che eticamente sarebbe giusto dare. Avendo operato molti anni nel sociale per il Comune di Vazzola, per il quale sono stata Assessore, posso dire che lo Stato non considera questa tematica come parte delle priorità sociali. In realtà la crisi e la diffusione della povertà, anche in classi sociali che avevano sempre vissuto dignitosamente, fa sì che nascano esigenze e necessità fino a prima sconosciute. I pochi soldi a disposizione di una famiglia vengono spesi per le necessità primarie che diventano il cibo, i farmaci, la scuola e il vestirsi passa in secondo luogo. Lo Stato demanda questa nuova emergenza alle associazioni e a qualche Comune che si ingegna di suo come può e con le risorse che ha.  Però realmente a far fronte a questa nuova esigenza ci sono le Associazioni benefiche che hanno dei veri e propri spazi dove distribuiscono abbigliamento usato. Sono nati, anche, molti negozi dell’usato che fino a poco tempo fa venivano snobbati e ora sono sovraffollati.  La grande novità, però,  sono gli eventi, i mercatini dello scambio -baratto – vendita di usato, i swappy party ecc che erano fenomeni di moda solo a Londra, Parigi ecc. C’è una nuova dignità dell’abito usato perché rientra anche in una nuova sensibilità green.

 

Quali sono i dati della raccolta di abiti e quale è la tendenza italiana?

 

Il principio del “non si butta via niente” sta generando una spirale molto interessante, soprattutto se i considera il momento di crisi generalizzata del sistema Italia. A ogni cambio di stagione o quando crescono i bambini, nelle famiglie si raccolgono in un sacco gli abiti da dare via: ogni italiano ne produce – tra vestiti e accessori – 4 chilogrammi l’anno. Qualcuno li porta alle associazioni caritatevoli, molti li conferiscono nei cassonetti gialli presenti in quasi tutti i comuni italiani. E proprio in questi cassonetti gialli si nasconde un tesoro per il riciclo e il riutilizzo: delle 110.000 tonnellate di abiti raccolti, quasi tutto è riutilizzabile o riciclabile e se la raccolta fosse fatta in modo efficiente porterebbe a un risparmio annuo di 36 milioni di euro del costo di smaltimento dei rifiuti urbani. Le 80.000 tonnellate che vengono raccolte ogni anno potrebbero essere oltre il triplo se la raccolta venisse fatta capillarmente nei comuni. Oggi siamo fermi a 1,3 chili di rifiuti tessili differenziabili, molto lontani dalla media europea di 7 chili pro capite.

 

Recentemente sono avvenuti numerosi scandali, soprattutto a Roma e a Napoli, nella raccolta e distribuzione di vestiti usati, che non venivano dati ai poveri ma venduti in Africa ed Europa orientale. Di questa materia sono competenti soprattutto i Comuni. Secondo lei come è possibile evitare che si ripetano questi fenomeni?

 

Purtroppo in ogni ambito e in ogni settore accadono truffe e cose poco etiche, sia dal punto di vista umano che sociale. Credo che l’unico modo per combattere queste cattive pratiche sia quello di sensibilizzare i Comuni affinché i tessuti, i vestiti e l’abbigliamento gettati vengano presi nella massima considerazione. Così facendo, i Comuni avrebbero anche un vantaggio rispetto all’obbligo del 65% di raccolta differenziata imposto dall’Unione europea, perché anche il vestiario usato è calcolato come rifiuto differenziato. Inoltre, ci sono altre due strade da considerare: la prima, praticata da pochi, è quella di gestire in proprio la raccolta e il conferimento degli abiti usati. La seconda, devolvere alla Caritas  il margine economico ricavato, sotto forma di contributo per le mense dei poveri o proprio nella distribuzione degli abiti. E questa è la strada maggiormente battuta.

 

Secondo i dati raccolti dal Conau, il Consorzio Nazionale Abiti e Accessori, una percentuale tra il 50 e il 70% dei Comuni italiani mette in pratica una capillare raccolta degli abiti tramite i cassonetti gialli, uno ogni 1.500 abitanti, in base all’accordo firmato dall’Associazione Nazionale Comuni Italiani con la Conau. Se la raccolta diventasse più diffusa, si potrebbe arrivare alla soglia delle 300.000 tonnellate l’anno di abiti usati raccolti, dai 3 ai 5 chilogrammi pro capite, avvicinandosi così alla media degli altri Paesi europei e risparmiando i 36 milioni di euro annui del costo di smaltimento dei rifiuti urbani. Anche perché gli abiti che chiusi nei sacchi vengono conferiti nei cassonetti gialli sono rifiuti, ma non lo sono fino in fondo perché per il 50- 60% è materiale che viene trattato come tale. Gli abiti recuperabili subiscono un processo di igienizzazione e vengono poi venduti come vestiti usati nei mercatini. Il restante viene trasformato in materia prima e utilizzato per materassi, pannelli fonoassorbenti, oppure usato per recuperare la fibra tessile. In pratica, la fase di trattamento prevede prima la selezione, in cui si divide la merce e si eliminano i materiali estranei, e l’igienizzazione, per raggiungere le specifiche microbiologiche indicate dalla legge.

 

Il riciclo e il riuso dei rifiuti che benefici portano all’ambiente?

 

Il recupero degli abiti usati non è solo una buona pratica di riciclo e riutilizzo: raccogliere e riconvertire un chilo di rifiuti tessili può ridurre di 3,6 chilogrammi le emissioni di CO2, di 6mila litri il consumo di acqua, di 0,3 chilogrammi di fertilizzanti e di 0,2 chilogrammi di pesticidi. A stabilirlo è uno studio di un gruppo di ricercatori dell’università di Copenaghen, diffuso dalla Fondazione sviluppo sostenibile. Confrontando i dati della produzione nazionale di rifiuti urbani con la raccolta differenziata totale e la raccolta specifica della frazione tessile dal 2001 al 2008, lo studio dei ricercatori danesi fa notare come quest’ultima sia raddoppiata, passando dallo 0,11% allo 0,22%, mentre il valore medio pro-capite ha subito solo un lieve aumento, anche se resta sostanziale la differenza tra le aree del Nord, Centro e Sud Italia. E se la raccolta fosse fatta in modo corretto, secondo l’università di Copenaghen si potrebbero recupero dai 3 ai 5 chilogrammi l’anno di rifiuti tessili che altrimenti vengono gettati nei rifiuti indifferenziati. Questo vorrebbe dire togliere dalle discariche circa 240.000 tonnellate di rifiuti  tessili, risparmiando ogni anno 864.000 tonnellate di emissioni di Co2, 72.000 tonnellate di fertilizzanti e 48.000 tonnellate di pesticidi.

 

Attraverso il programma  FEAD l’Unione Europea intende combattere non solo la Fame ma anche altre privazioni, tra le quali anche la mancanza di vestiti. Lei come giudica la politica europea in materia?

 

Il Fondo di aiuti europei agli indigenti (FEAD) ha assegnato all’Italia  670 milioni di euro per il periodo 2014-2020 per fornire generi alimentari e altre forme di assistenza materiale alle persone più bisognose nel paese (questa cifra sarà affiancata da 118 milioni di euro provenienti da risorse nazionali). Si tratta del programma FEAD più grande dell’UE per dotazione finanziaria. Il fondo offre un importante contributo finanziario per coprire i bisogni più urgenti, con particolare attenzione ai più vulnerabili, come le persone senza fissa dimora e i bambini di famiglie indigenti. Sono convinta che il programma avrà un ruolo chiave nella lotta contro la povertà e l’esclusione sociale nel paese. Lo Stato  nella consegna degli aiuti alimentari si avvale di una vasta rete di 15.000 organizzazioni non governative locali, che distribuiscono cibo nelle mense, in forma confezionata, oppure direttamente pasti caldi e bevande per i senzatetto. Sono iniziative e fondi molto importanti per far fronte a queste emergenze sociali. La speranza è sempre la stessa, cioè, che chi è designato a distribuire questi fondi li utilizzi per il fine che sono stati emessi.