Roberto Spagnuolo

Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’articolo di Roberto Spagnuolo, esperto di politiche del lavoro e previdenziali, nonché responsabile del Dipartimento Lavoro e Previdenza del partito della Convergenza Socialista. Spagnuolo si sofferma sull’assoluta necessità di creare un Fondo pubblico per la nascita di un nuovo Stato Sociale. 

 

Punto di partenza di ogni politica d’intervento dovrebbe essere la qualificazione dell’impatto sociale che si intende avere, se accidentale o sistematica, se integrativa o correttiva dell’esistente, in poche parole se di breve o brevissima scadenza (alla stregua di un interesse pronti contro termine) o se parte di una visione più ampia, in cui il capitale non si riscuote mai e gli interessi, solo di natura socio-economica, maturano sempre, reimpiegandosi per le stesse finalità.

 

Fondamentale per qualsiasi politica si voglia attuare, tanto più se di sostegno sociale, è la definizione di fonti e gestore delle risorse necessarie.

 

I fondi necessari per gli interventi sociali potrebbero essere opportunamente divisi tra un gestore nazionale (fondo sociale nazionale) e diversi delegati locali ad esso facenti capo (fondi sociali territoriali); essi non possono che essere vincolati per legge ad obiettivi sociali, se non altro per non alimentare velleità nei gestori delegati sul territorio, sanzionabili anche per il semplice “non uso” delle risorse oltre che per la loro distrazione.

 

Un monitoraggio centrale sarebbe auspicabile, anche per verificare eventuali squilibri di risorse tra i diversi bisogni vitali insoddisfatti (sanitario, previdenziale, abitativo, nutritivo, lavorativo, ecc..).

 

In termini di gestore unico nazionale, si potrebbe demandare tutto ad una Banca pubblica che si occupi delle entrate e spese per tali finalità, ma sembra di difficile realizzazione nel breve, inoltre poco pratica vista la mole di informazioni e competenze che dovrebbe incorporare per curare, con un minimo di diligenza, le finalità attribuitele; altra ipotesi, più realizzabile, è affidarsi all’esistente. Qui la scelta, per necessità, si concentra su due grandi entità che incorporano informazioni e competenze, anche se operano su campi diversi ma probabilmente complementari se per finalità socialmente utili: la Cassa Depositi e Prestiti e l’Inps.

 

La CDP già viene utilizzata, nei fatti, come banca di Stato, per alcuni interventi nell’economia nazionale di vera e propria politica industriale, discutibili nella visione politica ma funzionali; l’Inps, da parte sua, possiede al proprio interno sistemi e conoscenze per monitorare contributi, risorse e bisogni, potrebbe, nel caso, anche interloquire con la Cassa che, valorizzando finanziariamente il fondo nazionale in qualità di banca depositaria, ne darebbe la gestione piena all’Ente sociale, il quale, più di ogni altro, potrebbe valorizzarlo come distributore, perequando le risorse per i bisogni inevasi, laddove fosse necessario e in modo più partecipativo di quanto faccia attualmente dei bisogni collettivi, anche in termini preventivi.

 

L’alimentazione del Fondo Nazionale, gestito dalla Cassa o dall’Inps o dalla loro combinazione, potrebbe “fare sistema” ed essere sostenuta, in maniera diversificata, da tutti gli operatori economici, magari ponendo pesi contributivi differenziati tra un massimo e un minimo, a seconda del valore o disvalore, ribaltato sulla società stessa, derivante dalla produzione. In tale modo beneficerebbero di bassi contributi i settori maggiormente compatibili con una crescita sociale sostenibile, stimolando anche un circolo virtuoso che minimizzi in futuro le diseconomie sociali derivanti da attività economica.

 

Gli strumenti ci sarebbero pure, ma la volontà politica?

 

Vedere il video