Annamaria Carrese

Quando si parla di democrazia diretta o di impegno personale per un mondo diverso,  bisognerebbe guardare sempre a persone come Annamaria Carrese che, in questo momento, si trova in prima linea nella difesa di Raif Badawi, il blogger saudita arrestato nel 2012 e in seguito condannato a 10 anni di prigione e 1.000 frustate, pena da subire pubblicamente ogni venerdì, 50 ogni settimana e a un’ammenda di 1.000.000 di Riyals (€ 237.141,00) e a ulteriori 10 anni di interdizione all’espatrio. Nel frattempo, il suo avvocato e cognato, Waleed Abu al-Khair, è stato condannato a 15 anni di carcere per il suo attivismo pacifista e ha subito maltrattamenti in carcere. Qual è il crimine commesso da Raif? Quello di istituire un sito web, Free Saudi Liberals, che avrebbe “insultato l’Islam attraverso canali elettronici”.

 

Sembra incredibile ma queste cose continuano a succedere nel XXI secolo e se non ci fossero persone come la Carrese, organizzazioni come Amnesty International o portali come Articolo 21, associazioni o partiti come SEL o Convergenza Socialista (al quale aderisce la Carrese), difficilmente i governi si muoverebbero nei riguardi di Stati come l’Arabia Saudita, politicamente strategici grazie agli enormi giacimenti di petrolio. Ma sentiamo cosa ha da dirci la Carrese.   

 

Come sei venuto a conoscenza e cosa ti ha spinto in particolare a interessarti del caso Raif  Badawi  e del suo avvocato?

 

Da anni sostengo le attività di Amnesty International e partecipo ogni volta che mi è possibile alle sue manifestazioni. Insieme ad Articolo 21, Amnesty informa sui casi di violazione dei diritti umani, in particolare per i reati di opinione, ed intraprende campagne per ottenere la liberazione dei detenuti che rischiano la pena capitale ancora in molti Paesi.

 

Come si è sviluppato fino ad ora il tuo impegno personale?

 

Il mio impegno è lo stesso di qualunque altro cittadino che ritenga di poter esercitare il diritto ad esprimere pubblicamente la propria opinione, orientando così le scelte di chi è demandato a governare il Paese. L’opinione dei cittadini ha un grande potere: lo dimostriamo con il nostro voto o anche quando con la sola forza della nostra voce o delle nostre e-mail otteniamo la liberazione incondizionata di detenuti da parte di regimi totalitari.

 

Naturalmente le iniziative intraprese dalle organizzazioni per i diritti umani hanno bisogno di una parte del nostro tempo per poter essere efficaci, e non c’è persona che lo voglia che non troverà, qualche volta, un po’ del proprio tempo per le azioni necessarie. Vorrei aggiungere che come cittadina non sento di avere solo diritti ma anche doveri; fra questi, il dovere di partecipare attivamente ai cambiamenti e allo sviluppo del nostro Paese e del mondo, e a tutelare e preservare l’ambiente in cui devono essere garantite a tutti la dignità e l’autodeterminazione.

 

A livello internazionale come viene seguito il caso?

 

A livello internazionale c’è stata molta risonanza sul caso Badawi e sui prigionieri di coscienza sauditi. La moglie di Raif, Ensaf Haidar, che vive in Canada con i suoi tre figli, ha appena concluso un viaggio in Europa in cui ha incontrato alcuni rappresentanti delle istituzioni. In particolare, la Norvegia, la Svezia, la Gran Bretagna e il Parlamento europeo hanno fatto sentire la loro partecipazione attiva alla questione.

 

E per quanto riguarda il mondo politico italiano?

 

Per quanto riguarda il mondo politico italiano, ho personalmente aderito all’invito di Convergenza Socialista a scrivere alle istituzioni da singola cittadina; ho inviato una e-mail al Presidente del Consiglio, alla Presidente della Camera, al Presidente del Senato, al sindaco di Roma e alla Senatrice Loredana De Petris di SEL. Quest’ultima ha risposto in poche ore alla mia comunicazione, aggiornandomi nei due giorni successivi sulle azioni intraprese, che sono, al momento: interrogazione presentata al Parlamento europeo con relativa risposta, interrogazione a carattere d’urgenza al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro degli esteri, a prima firma della Senatrice, presentata il 15 giugno u.s.

 

E’ stato possibile stabilire un qualsiasi contatto con l’Ambasciata o altre autorità dell’Arabia Saudita?

 

L’invio delle numerose e-mail da tutto il mondo e le pressioni ricevute dai rappresentati di vari Paesi hanno generato finora solo un’infastidita reazione del governo saudita, che dice di considerare tutto questo come un’inappropriata ingerenza negli affari interni del Paese. Noi però non faremo un passo indietro, del resto una risposta del genere era prevedibile. Continueremo, ogni giovedì, ad inviare una richiesta scritta all’ambasciatore del regno saudita a Roma, Rayed Khaled A. Krimly, con la richiesta di liberazione per Badawi e per tutti i prigionieri per reati di opinione attualmente detenuti. Io la invio anche al governo saudita, sempre ogni giovedì.

 

Dalle tue conoscenze, qualcosa sta cambiando all’interno dell’Arabia Saudita, anche per quanto riguarda la condizione femminile e la libertà religiosa?

 

Già prima che si parlasse tanto del caso Badawi e Abu al-Khair, mi sono interessata al fenomeno del nuovo corso che attraversa i Paesi del Medio Oriente e dell’area del Maghreb, compresa la crescente affermazione dello Stato islamico. Purtroppo l’Arabia Saudita è uno dei Paesi in cui vige l’interpretazione wahabita dell’Islam, la più rigida e intransigente, in cui non si prospettano aperture e dove le istanze di libertà vengono represse con la violenza attraverso la polizia religiosa. Come è facile immaginare, la condizione femminile è piuttosto difficile, benché non manchino voci e volti di donne coraggiose, come la scrittrice Alsanea Rajaa o come Samar Badawi, sorella di Raif e moglie di Waleed Abu al-Khair, l’avvocato che un tempo ha difeso lei e ne ha ottenuto la libertà, e tre anni fa Raif Badawi, e che oggi sta scontando una pena a 15 anni di carcere con l’accusa di essere un attivista per i diritti umani.arabiaarabia